"C'era una volta...."
E' l'inizio di ogni favola che si rispetti. Quante volte da
piccole abbiamo sognato, pianto, gioito dietro questo inizio? Quante avventure
meravigliose si nascondono dietro le storie di La bella e la bestia, Pinocchio,
Biancaneve, Cenerentola? Quante volte abbiamo immaginato che proprio come nella
favole un principe ci venisse a salvare e si innamorasse di noi? Tante, forse
troppe. E io sono sincera, ogni tanto mi ritrovo ancora a sognare. Una realtà
diversa, non un principe su un cavallo bianco, ma lasciarmi andare e farmi
trasportare dalle storie che leggo fa parte del mio essere una lettrice
romantica fino alla fine. Recensione completa
Buon inizio settimana Readers!
Molti anni fa…
Mi ero sempre domandata che cosa spingesse un fiore a nascere tra i sassi. Per quale strana forma di autolesionismo sbocciasse in mezzo al nulla e senza la possibilità di avere compagnia. Forse era proprio quella la sua particolarità. Essere destinato a poche persone e donare il proprio profumo a chi fosse in grado di coglierlo. Allora, in fondo, noi e i fiori non eravamo poi tanto diversi.
Niente di più sbagliato. Era quello che avrei voluto credere, ma non tutte le persone somigliavano ai fiori. Io lo sapevo bene. La maggior parte della gente mi guardava con timore e diffidenza, come se la mia fronte fosse marchiata dalla parola “strega”. Quello era il prezzo da pagare per la mia diversità, gentilmente tramandata saltando una generazione. Mi ero convinta di non essere una bambina come tutte le altre, almeno era quello che continuava a ripetermi mia madre. «Perché devi essere come lei? Perché non riesci a farti piacere le bambole?», insisteva al suono di una lenta cantilena. Forse, mi dicevo, se i bambolotti non puzzassero di plastica e non nascondessero un marchio dietro al cappellino incollato sulla testa, potrei anche trovarli interessanti. Potrei.
La realtà era che io amavo giocare e divertirmi con quello che mi offriva il mondo là fuori. Ed era tutto gratis. I miei occhi correvano altrove, ad ammirare quello che c’era oltre il naso premuto contro il vetro della finestra che mi divideva dal mondo esterno, perché la natura non aveva rivali: lei era bizzarra e cocciuta, ormai mi era chiaro. Ogni giorno cambiava forma, colore, dimensione. Sembrava mai contenta dei suoi abiti. Era come una bambina dispettosa, le piaceva mutare in base al tempo e all’alternarsi delle stagioni. Quello che il giorno prima era un sentiero incastrato tra alberi incolonnati come soldati in attesa di un nuovo comando, si trasformava in una mantella multicolore di foglie secche, dove non si riconoscevano più i segni lasciati dalle proprie scarpe. Ma poi arrivava la neve, così soffice da ricordare la schiuma. E le impronte erano così profonde ed evidenti, da indicare sempre la direzione di casa. La natura parlava una lingua sconosciuta, magica, speciale. Bisognava usare prima il cuore e poi la logica per capirla. Per quello i grandi non erano mai preparati. Talmente cocciuti e impegnati a formulare una spiegazione plausibile davanti a ogni cosa. Non avevano ancora imparato che più si cerca, meno si trova.
Il bosco era mio amico. Il mio rifugio, e io non avevo paura. Ogni forma della natura era viva, ogni ramo che una folata di vento faceva danzare, ogni foglia che l’aria faceva vibrare sotto le mie scarpe, ogni sfumatura di colore che i miei occhi erano in grado di assorbire. Io non avevo bisogno di giocattoli, avevo molto di più.
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Un bacio,
Angela
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