"Il segreto sta nel cuore, è appena diventato uno dei metri di paragone più spaventosi di sempre, perché trovare di meglio... non è umanamente immaginabile. Gus, Keller, Aundrey, Clayton. Peter, Shelly, Duncan, Stella.
Se riuscite a trovare anche un minimo difetto in loro vi prego, fatemelo sapere. Per me è stato impossibile.
Quando capisco di essere davanti a un libro con la L maiuscola, mi soffermo su ogni minimo particolare per provare a trovare qualcosa che non va e raramente non ci riesco." (Angela)
Doveva essere per forza "Bright side".
Non ho letto niente di più bello e lo so che sembra eccessivo, ma sono convinta che abbia già il podio per il miglior libro dell'anno, non solo del mese.
Ne post, vi lascio il link per leggere la recensione e in più vi ho fatto un piccolo regalo...
Ho copiato il primo capito del libro.. spero che possa conquistare chi non lo ha ancora letto e far ricordare chi lo ha fatto.
Lunedì 22 agosto
Kate
«Ciao bella, come va?»
«Tutto a posto, figurati. Ho soltanto guidato per trenta ore di fila credo, ho perso il conto. Sono due o tre giorni che non dormo e avrò bevuto venti Red Bull e quindici litri di caffè. Niente di nuovo, direi.»
Gus ride. «Accidenti, forse hai qualche antenato camionista.»
«Allora mi presento, ecco a voi la regina dei camionisti, Mother Trucker.»
Ride ancora. «Fantastico. Forse dovrei smettere di chiamarti Bright Side e passare a Mother Trucker.»
Fin qui la conversazione scorre naturale, come speravo. Dopo il modo in cui ci siamo lasciati a San Diego pochi giorni fa, non sapevo cosa aspettarmi da questa chiamata.
Ma poi arriva un silenzio imbarazzato, che non è mai esistito tra noi. E ci conosciamo da diciannove anni.
«Allora, sei in Minnesota.»
«Sì.»
«A casa di Maddie?»
«Sì.»
«E come va?»
«Va.» Oddio, la conversazione non sta procedendo bene per niente. La sua voce sembra quasi annoiata, ma sento che è molto nervoso. Mi chiedo come mai ancora non l’ho sentito accendere una sigaretta. E proprio in questo momento, sento il rumore dell’accendino e il suono familiare della prima lunga boccata. «Dovresti...»
Mi interrompe subito. «Forse è meglio che ti lasci andare, Bright Side. Sono arrivato da Robbie e mi sembra che ci siano già tutti per l’incontro con la band. Sono in ritardo come al solito, e mi stanno aspettando per iniziare.»
Sono dispiaciuta, ma so che la vita degli altri non si può fermare o tenere in sospeso soltanto perché Kate lo vuole. Mi sforzo di sorridere e rispondo: «Sì, certo. Domani sera sei libero? Se sì, ti chiamo.»
«Domani voglio andare a fare surf dopo il lavoro, però ci sono.» Respira in modo più regolare, ma so che è così perché si sta concentrando come un disperato sulla sua sigaretta, inalando fumo, nicotina e calma allo stesso tempo.
«D’accordo, Gus. Ti voglio bene.» Ci diciamo sempre ‘Ti voglio bene’. Lui è cresciuto con una madre che glielo ripete ogni cinque minuti, perché lo ama davvero. Invece io non l’ho mai sentito dire dalla mia. Mai, perché lei non provava affetto; per lei era normale il contrario. Da lei ricevevo indifferenza, che mi penetrava fin nelle ossa. Forse è per questo che mi è sempre piaciuto sentirlo da Gus e da sua mamma, Audrey. Sarebbe strano chiudere una conversazione con loro senza dirlo.
«Anche io ti voglio bene, Bright Side.»
«Ciao.»
«Ciao.»
Sono a casa di Maddie. Maddie è mia zia, la sorellastra di mia madre, molto più giovane di lei e di cui ignorava l’esistenza fino a tre anni fa, quando si sono incontrate al funerale del nonno (il loro padre). Mia madre è cresciuta senza di lui per gran parte della sua vita: l’ha lasciata quando aveva dieci anni, o giù di lì. È semplicemente scomparso; in realtà si è fatto un’altra famiglia e via dicendo, poi è riapparso poco prima di morire. Io l’ho incontrato un paio di volte, e mi è piaciuto. Non voglio giudicare quello che ha fatto, non so che vita abbia avuto prima. Comunque, Maddie appare al funerale e a mia madre prende un colpo quando l’altra le rivela di essere sua sorellastra. Cioè, mia madre ha aspettato parecchio prima di avere mia sorella Grace e me. Forse aspettato non è la parola più appropriata. Grace è stata un incidente di percorso e io invece il frutto del tentativo di rimanere con un uomo che non voleva né lei né noi. Aveva trentanove anni quando è nata Grace, e quaranta quando sono arrivata io. Maddie invece ha solo ventisette anni, otto più di me, il che significa che mia madre era di trentasette anni più grande di Maddie. Certo, fate i conti: mio nonno era un vecchio arzillo. Comunque basta, non voglio giudicare.
Quindi, io ho questa zia di cui non sapevo l’esistenza e che conosco a malapena, a parte la volta che ha passato una settimana con noi a casa di mia madre a San Diego, due anni fa. Per cui, quando ho saputo di essere stata accettata (con borsa di studio) alla Grant, una piccola università nell’omonima, minuscola città alla periferia di Minneapolis, ho chiamato Maddie e le ho chiesto se mi poteva ospitare per una settimana prima che mi trasferissi nei dormitori all’inizio delle lezioni. Lei ha tergiversato come se le stessi chiedendo un rene, ma alla fine ha accettato. Così adesso mi trovo qui a casa sua, ed è passata solo un’ora ma ho già l’impressione di essere un’ospite sgradita.
Disfo la valigia e metto spazzolino, dentifricio, shampoo, balsamo e rasoio nell’enorme bagno degli ospiti. L’appartamento di Maddie è proprio bello; non ho capito il costo della vita qui a Minneapolis, ma sembra alto. Ed è anche molto appariscente. So che a qualcuno piace appariscente, ma per me è troppo. Mi fa desiderare la semplicità. L’appariscente nasconde, mentre il semplice si mostra così com’è. Mi fa venire in mente la casa di San Diego, e quanto mi manchi. Era un garage a un unico posto macchina trasformato in appartamento, che avevo affittato dal vecchio giardiniere di mia madre, Mr Yamashita. Lui aveva creato un piccolo bagno all’interno, per cui lo poteva affittare. La cucina era composta da minifrigo, forno a microonde e piastra elettrica, senza lavandino. I piatti si lavavano nel bagno. Era piccolo e stipato e buio quando la serranda rimaneva abbassata, ma a me piaceva. Era semplice. Era casa mia. Mia sorella Grace e io ci siamo trasferite lì circa un anno fa. Cercavamo un posto dove stare, e Mr Yamashita, un uomo davvero molto gentile, ci aveva chiesto un affitto così ridicolo che non ho potuto dire di no. Io e Grace dividevamo un letto matrimoniale e avevamo un tavolino pieghevole e due sedie che ci facevano da salotto, scrivania e tavolo da gioco. Non molto spazioso, ma accogliente. Era a un isolato dall’oceano, ma in una posizione da cui si poteva vedere bene il mare. Ogni sera, dopo cena e dopo il bagno di Grace, sollevavamo la serranda e ci sedevamo sul bordo del letto. Guardavamo tramontare il sole dentro l’oceano: non appena incominciava a immergersi nell’acqua e l’arancione si diffondeva lungo la linea dell’orizzonte, Grace mi prendeva la mano, alzava le nostre dita intrecciate e gridava: «È l’ora dello spettacolo!» Io ripetevo: «È l’ora dello spettacolo!» Lei mi teneva stretta la mano tra le sue, finché non diventava completamente buio. L’oscurità la spingeva a fare un applauso di gioia, cui io mi univo. Lei mi diceva: «È stato il migliore, vero?» Io le davo ragione, in un certo senso ne ero convinta. Poi abbassavo la serranda, sollevavo le gambe di Grace sul letto e lei si distendeva. La coprivo con cura, le davo un bacio in fronte e le dicevo: «Buonanotte, Gracie. Ti voglio bene, sogni d’oro.» E lei mi rispondeva: «Non farti mordere dalle cimici. Anche io ti voglio bene, Kate.» Mi baciava sulla fronte. Mi manca tantissimo.
Dopo aver sistemato le mie cose per il soggiorno temporaneo, provo a parlare con Maddie, ma lei è al telefono, quindi le indico la cucina, per chiedere il permesso di mangiare qualcosa. Lei annuisce distratta mentre ride imbarazzata al telefono. All’altro capo deve esserci un ragazzo. Le donne ridono in quel modo solo quando stanno parlando a qualcuno con cui fanno sesso. O con cui vorrebbero farlo.
La sua cagnolina, Princess, mi segue dappertutto. Non so di che razza sia, ma se strizzi gli occhi scompare, da quanto è minuscola. È simpatica e mi piace, però devo sempre ricordarmi di stare attenta a dove cammino per non calpestarla e schiacciarla come una formica.
Arranco fino alla cucina, con i piedi che strisciano sul pavimento, perché alzarli comporterebbe troppa fatica. Apro la dispensa e trovo una confezione di maccheroni al formaggio, insieme a un solitario barattolo di zuppa di verdure e manzo e a una barretta alle proteine così dura che sono sicura sia scaduta prima dell’inizio del secolo scorso.
Trovo anche una pentola, e metto a bollire l’acqua per cucinare la pasta con formaggio, cercando di non ascoltare la conversazione di Maddie nella stanza accanto. Canticchio, vorrei il mio iPod ma è in camera da letto. È a pochi passi di distanza, però ho paura che se mi sforzo ad andarci, la vista di quello splendido letto mi spingerà a scivolarci dentro. E io devo mangiare. L’ultima volta è successo qualche Stato fa, forse il Nebraska.
Maddie chiude la telefonata quando io incomincio a mescolare la pasta e apro la confezione di formaggio. Entra in cucina. «Hai fame, Maddie?» le chiedo.
Lei alza le spalle. «Credo di sì.»
Mangiamo in silenzio, a parte le sue lamentele sulla quantità di grasso contenuto nei maccheroni, e che sapore disgustoso hanno. Però noto che ha spazzolato la sua metà, e quasi lecca il piatto fino a farlo diventare lucido. A me sono sembrati molto buoni; la pasta al formaggio funziona sempre.
Ho aspettato fino alla fine del pasto perché lei facesse la padrona di casa e mi tenesse occupata in una conversazione vera, o anche due semplici chiacchiere. Quando invece non lo fa, decido di cominciare io. «Allora, Maddie, è molto che abiti qui? È un gran bell’appartamento.»
«Più di un anno; sì, non è male.» Il tono è annoiato, come se parlare le comportasse uno sforzo troppo grande.
«Non male? Oddio, è fantastico. Un condominio a tanti piani, nella zona residenziale della città. Il quartiere sembrava parecchio alla moda quando ci sono passata in macchina, con un sacco di ristoranti e negozi. E poi c’è il parcheggio sotterraneo, il custode e una palestra con piscina. Ce l’hai fatta, Maddie.»
Alza le spalle. «Per adesso può andare. Sto cercando un’altra casa, in una zona migliore, con più servizi e metri quadrati. Purtroppo ho appena firmato un contratto d’affitto di sei mesi e non credo di potermi svincolare.» Mette il broncio.
Io annuisco. Per adesso può andare? Oddio, sto cercando di non giudicare, ma più passo il tempo con lei, e più qualcosa non va. Cioè, è umano riempire i vuoti, e l’elenco dei riempitivi è lungo, ma alcuni funzionano, altri no. Ho la sensazione che Maddie viva di cose materiali e denaro. Mi sembra sempre alla ricerca di altro e che non riesca a sentirsi grata di quello che ha. Che tristezza. L’avidità è come la favola del ragno e della mosca. Avidità, denaro, eccessi, quelli sono il ragno. E Maddie la mosca. Cerco di portare il discorso su qualcosa di positivo. «Il lavoro come va? Sei un avvocato, giusto?» È successo così tanto da quando ci siamo incontrate due anni fa, che sto provando a trovare un ricordo nella mia mente sfinita.
«Sì. Rosenstein & Barclay. In centro a Minneapolis.»
«Bello.» Credo che stia a me portare avanti la conversazione. «Quindi sarai tanto occupata con il lavoro. Hai qualche passatempo? Cosa ti piace fare nel tempo libero?»
A questo punto, si illumina come se finalmente fossi riuscita a toccare un argomento che le interessa. «Mi piace fare shopping, la manicure, andare dalla parrucchiera e nel centro abbronzatura un po’ di volte alla settimana.» Mi squadra dall’alto in basso mentre snocciola la sua lista. È chiaro che ha capito che non abbiamo nulla in comune, mentre nota i miei capelli raccolti in una crocchia disordinata, le unghie mangiate, i leggings e la maglietta del Manchester Orchestra, diventata sottile per tutti i bucati che ha subito e le innumerevoli volte che l’ho indossata. Sono abbronzata, ma non da lettino abbronzante, e solo perché sono stata all’aria aperta – ma scommetto che lei lo sa. «Ah, e poi devo allenarmi ogni mattina.» L’enfasi che mette sul ‘devo’ è un po’ inquietante.
«Quindi vai nella palestra di sotto? Ho dato un’occhiata mentre salivo le scale, sembra carina. Forse ci potrei andare anche io a fare una corsa sul tapis roulant, domani.»
Lei annaspa come se le avessi appena chiesto di dare un morso a un sandwich pieno di vermi. «Oddio, no. Quel posto è orribile. Io mi alleno in una palestra privata vicino all’ufficio: il Minneapolis Club.»
‘E certo’ sto per dirle, ma annuisco finché non mi passa l’impulso. «Mi sembra fantastico, Maddie.» Scosto la sedia dal tavolo e prendo i miei piatti. «Mi sa che me ne vado dritta a letto. Grazie per i maccheroni al formaggio. Domani compro un po’ di verdura; adesso però sono proprio sfinita.»
«Puoi comprare lo yogurt a zero grassi ai mirtilli?» mi chiede, mentre metto i piatti e la pentola nella lavastoviglie. Una vera, funzionante; ne rimango così colpita che quasi non la sento e devo trattenermi dall’inginocchiarmi e baciarla. «Certo. Ehi, hai una caffettiera? La mia non è sopravvissuta al trasloco, e adoro il caffè.»
Sento un «Mmh!» dall’altra stanza e ho la netta sensazione di averla insultata. Quando la incrocio mentre vado verso la camera da letto, dove ho pianificato di rimanere in stato di coma per diciassette-diciotto ore, lei scuote la testa e mi guarda come se avessi tre occhi. «Perché dovrei avere bisogno di una caffettiera? C’è uno Starbucks all’angolo.»
«Ah, certo, giusto.» Forse gli avvocati sono così. Mi devo ricordare di comprare una caffettiera domani, quando vado a prendere le verdure. «Buonanotte, Maddie.»
«Buonanotte? Non vorrai andare già a letto. Sono le cinque.» Tiene le mani sui fianchi. «Pensavo che saremmo andate a bere qualcosa stasera.»
«Non credo di farcela, mia cara. Però domani sera sarà perfetto. Sai, per me ieri notte non è esistita, l’ho saltata perché ero piena di caffeina, quindi devo recuperare quella dormita e in più aggiungerci questa di stasera, simultaneamente. Non posso più aspettare. A domani.»
〜Bright Side, il segreto sta nel cuore〜
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