Ho voluto conservare quest'ultima domenica prima della fine dell'Avvento a uno dei libri che mi hanno sorpreso di più. L'ho scoperto per pura casualità.. girovagando alla ricerca di nuove letture. Non so cosa mi ha spinto a sceglierlo, e forse per una volta userei la parola destino.
Un libro intenso, carico di emozioni, di dolore...
Il lungo percorso di Nathan e Talia verso la rinascita è stato... fortificante. La loro non è una storia semplice. Non è l'amore che li lega...ma un qualcosa di molto più profondo. Hanno combattuto con coraggio, anche quando arrendersi era semplice. Sono andati avanti e briciola dopo briciola.. si sono ricostruiti.
Lo so che non è famosissimo, ma non posso non rinnovarvi il mio invito alla lettura di questo piccolo capolavoro. ❤
10 Agosto, Chicago
Talia
Parcheggiai l’auto in doppia fila.
Non mi interessava di poter prendere una multa, non
mi interessava nemmeno dello sguardo attonito delle persone. Indossavo gli
stessi abiti con cui ero fuggita, una maglietta rossa con denti da vampiro e un
pantaloncino a mezza coscia. Forse, però, non erano i vestiti il mio problema
più grande, quanto lo sguardo da pazza e gli occhi rosso sangue. Avevo guidato
tutta la notte e non ero riuscita a frenare le lacrime.
Ignorai il vento che mi sferzava i capelli, che mi
frustava il viso. Ignorai ogni ostacolo che si frapponeva fra me e il mio
obiettivo. Mi muovevo lenta ma decisa e la folla di persone si apriva al mio
passaggio. Tutto sembrava scorrere al rallentatore e riuscii a tranquillizzarmi
solo quando mi trovai davanti alla lastra di marmo bianco, quella che evitavo
da dieci lunghi anni.
Con le dita seguii i solchi delle lettere incise,
odorai i fiori che la nonna aveva portato e guardai il volto della bambina dai
lunghi capelli rossi che, ormai, non c’era più.
«Ciao, Laia.» Iniziai, per poi arrestarmi di colpo.
Non sapevo come parlare ad una lapide.
Una folata di vento sospinse le foglie rossicce
attorno ai miei piedi. «Lo prenderò come un saluto e non come un rimprovero. Lo
so che sarei dovuta venire prima, so che ho commesso un errore, anzi, una lunga
serie di errori. Sono venuta qui con l’intenzione di chiederti scusa, ma adesso
che ho trovato il coraggio di farlo, adesso che sono qui, davanti a te, ho
bisogno che tu sia ancora una volta una buona confidente per me. Ho tradito la
promessa che ti ho fatto, Laia. Potrai mai perdonarmi?»
Avevo la mano ancora poggiata sul suo volto sorridente,
ero incapace di allontanarla da lì. Ero partita di corsa, non avevo il
cellulare con me e speravo che la mia famiglia, i miei amici, impiegassero più
tempo a capire dove mi trovassi. Sapevo che non avrebbero esitato a
raggiungermi ma avevo bisogno di starmene da sola, di starmene un po’ per conto
mio, era così sbagliato?
Il custode del cimitero mi guardò per poi
distogliere velocemente lo sguardo. Forse aveva capito che non si sarebbe
liberato di me facilmente.
Osservai il volto di Laia e ricacciai indietro le
lacrime. Non meritavo sollievo dal mio dolore, quello che meritavo era di
esserne lacerata e distrutta, perché nel momento esatto in cui avevo trovato
conforto avevo rovinato la promessa che rispettavo dalla sua scomparsa e avevo
trascinato anche lui nel mio baratro oscuro.
«Ti ho portato dei fiori, sono delle margherite. Se
non sbaglio ti piacevano tanto, non è così? Dicevi sempre che io e la mamma
avevamo la passione per la pittura, per i colori, mentre Rosi era la ballerina
migliore di questo mondo. Tu eri l’unica che sentiva di non avere una strada e
per un periodo hai finto di essere innamorata dei fiori. Ma non ne conoscevi
nemmeno uno, non sapevi niente su di loro, ma la mamma e il papà ti comprarono
comunque l’occorrente necessario per assecondarti. Non facevano altro che
ripeterci che avremmo potuto diventare ciò che volevamo da grandi… chi lo
avrebbe mai detto che tu non saresti mai cresciuta e che io sarei diventata un mostro?»
Mi fermai e sfiorai coi polpastrelli la ‘A’ di
piume all’interno del polso. «Vorrei parlarti di Matt. Immagino di averlo
capito sin da subito che avrebbe sconvolto la mia vita. Per la prima volta in
dieci anni, Laia, ho voluto che accadesse anche se all’inizio lo negavo con
tutta me stessa. Poi, ti racconterò di Nate e ti dirò come il mostro che sono
diventata gli ha spezzato il cuore.»
10
Agosto, Los Angeles
Nathan
Grigio.
In quella cella tutto aveva quel colore, ma mi
bastava chiudere gli occhi per immaginare che ciò che mi circondava non fossero
una branda scomoda su cui dormire, un orinatoio puzzolente e una finestra piccina
con delle sbarre che mi separavano dal mondo. Quando chiudevo gli occhi non
vedevo la prigione in cui ero rinchiuso, non vedevo la cella che mi era stata
assegnata, vedevo dei capelli dal colore indefinito, biondi se colpiti dal sole
e castani se accarezzati dal buio. Non sentivo il tanfo che mi circondava, ma
percepivo il suo odore. Non c’era più il grigio perché ero circondato
dall’azzurro scuro dei suoi occhi.
Avrei dovuto odiarla, avrei dovuto debellarla dalla
mia vita, dai miei pensieri, dalle mie vene. Ma non ci riuscivo. Dopo averla
cercata tanto a lungo, l’avevo persa, di nuovo. E per colpa sua ero finito nel
mio purgatorio.
Un tempo consideravo la prigione l’inferno, ma poi
avevo realizzato che non era così, la prigione non era di certo il mio posto
preferito, ma l’inferno era ben altro. L’inferno era non averla con me, non
poterla osservare, non poter ridere di lei, ridere con lei. L’inferno era non
sentire il suo odore fruttato, non sentire la sua voce forte ma dolce,
imbarazzata e decisa.
Ecco perché avevo preferito non dormire e dopo solo
una notte in gattabuia già rischiavo di crollare ovunque, qualsiasi cosa stessi
facendo, perché se avessi chiuso gli occhi non avrei visto altro che lei e
avrei dovuto ricordarmi che era solo per colpa sua che ero finito lì. Di nuovo.
E comunque, mi mancava ugualmente.
Troppo.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Era passato solo un giorno dall’ultima volta che
l’avevo vista. Tra lo stato di fermo, l’arresto e la richiesta dei domiciliari
non ero capace di ricordare quante ore fossero trascorse, ma ricordavo con chiarezza
ogni secondo passato senza di lei. Senza Talia la mia vita sembrava non avere
senso. Non era colpa della prigione, già una volta aveva provato a piegarmi, a
distruggermi ed io avevo l’avevo vinta. Ma era bastata una ragazza dai capelli
indomabili a spezzarmi.
«Grey, ci sono delle visite per te.»
Osservai Brian, la guardia che era di turno, nonché
vecchia conoscenza, e scossi il capo. «Non voglio vederlo.»
«Lo sai che tra due giorni sarà di nuovo qui.»
«E tra due giorni avremo di nuovo la stessa
conversazione.»
Brian si allontanò per comunicare a mio fratello
una notizia che non lo avrebbe sorpreso: non volevo vederlo.
Non volevo abbandonare la mia famiglia, avevo
rinunciato a qualsiasi progetto di vita, a qualsiasi possibilità di fuga per
restare accanto a Matthew e, alla fine, la prigione mi aveva reclamato come se fossi
stato una sua proprietà. Maledizione, pensai.
Raccolsi quel maledetto libro, quello che avevo
rubato da casa sua. Mi aveva sorpreso trovarlo lì, adagiato sul tavolo in bella
vista. Talia non usciva mai di casa senza portarlo con sé.
Ne osservai la copertina. Là, dove nasce
l’infinito, citava il titolo. Non potevo fare a meno di chiedermi perché avesse
sottolineato delle frasi e cerchiato delle altre. Aprii una pagina a caso, proprio
come mi aveva detto che faceva lei.
Si è soli
In una stanza
In una strada
Dentro se stessi.
Odio questo libro.
Tra quelle sbarre potevo sentire ancora le ultime
parole che mi aveva rivolto, l’ultima volta che avevo sentito la sua voce.
“Smettila di proteggermi, Nate.”
«Talia…»
Chiusi gli occhi e continuai a pensare a lei. Non potevo farne a meno.
« …ma io non merito di essere sfiorata con
gentilezza… Non lo merito, Nate. »
Mi svegliai di soprassalto.
Da quando ero lì i pensieri vagavano come impazziti
da un neurone all’altro e questo era un altro motivo per cui non volevo
dormire, desideravo davvero di smettere di sognare.
«Perché mi sono innamorato di te?» Sussurrai. Talia
era così diversa da tutte le altre ragazze che avevo conosciuto, che avevo
osservato in tanti anni. Era fragile ed io non ero una piuma, al contrario, ero
un carro armato che era stato fermato da una lastra di cristallo.
Non ero felice della mia vita prima di lei. Avevo
giurato di proteggere mio fratello, da se stesso, dal mondo e lui aveva
ricambiato il mio sacrificio trovando lei. Ma non avevo capito che l’angelo che
avevo lasciato dieci anni prima aveva perso le ali. Quell’angelo non esisteva
più. Mi misi a sedere e guardai fuori dalla finestra. La pioggia scorreva
lenta, leggera e nel cielo brillava il sole. L’arcobaleno era visibile anche da
dove mi trovavo e ne seguii i contorni.
Smisi immediatamente di farlo. Avevo già inseguito
l’arcobaleno ed ecco cosa avevo ottenuto.
La prigione. La sua assenza.
Avevo infranto tutte le sue regole, anche quelle
che non mi aveva confessato.
L’avevo toccata.
L’avevo amata.
Le avevo riportato la vita.
E lei era tornata a rifugiarsi nelle ombre.
E comunque, l’amavo ancora.
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RispondiEliminaIo sono rimasta colpita in maniera bellissima! Non mi aspettavo neanche la metà di quello che ho provato quando ho iniziato a leggere il libro 😍
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